Di seguito l’intervista di Enzo Petrolino rilasciata alla giornalista Laura Bardacchi di Famiglia Cristina.
La vocazione al diaconato in Enzo Petrolino è maturata subito dopo il matrimonio. Oggi ha 68 anni e vive intensamente al servizio della Chiesa gli anni della pensione, dopo essere stato direttore di un ente per il diritto allo studio universitario nella sua Reggio Calabria. «Con mia moglie Maria ci siamo conosciuti in parrocchia, eravamo entrambi educatori dell’Azione cattolica ragazzi», ricorda. Sposati dal ’77, hanno avuto tre figli «che non ci hanno resi ancora nonni: Giuseppe ha quasi 38 anni e lavora come ingegnere in una società di programmazione. Antonino, classe 1982, è notaio al Tribunale ecclesiastico regionale. L’ultimo, Francesco, ha 22 anni e studia ingegneria, ma ha trovato anche il tempo per fare il Cammino di Santiago», dice con orgoglio papà Enzo.
Una famiglia normale, come tante, dove a un certo punto irrompe una chiamata nella chiamata: «Ho conosciuto la Comunità del diaconato in Italia (comunitadiaconato.it), nata a Reggio Emilia nel 1967 – fra le prime diocesi, con Napoli e Torino, a reintrodurre nel post-Concilio il diaconato permanente –, fondata da don Alberto Altana insieme con don Dino Torreggiani: il primo era venuto a Reggio negli anni Settanta e così sono iniziati i contatti». Una realtà nata dopo il Vaticano II che metteva in rete i diaconi permanenti. Enzo, impegnato in Azione cattolica e da sempre attento al sociale, si rimbocca le maniche anche come volontario della Caritas, come membro del movimento “Insieme per la città” e responsabile diocesano della Commissione liturgica. Ma avverte che tutto questo non gli basta e, dopo aver conosciuto tanti diaconi emiliani, condivide i suoi pensieri con la moglie. «Lei è stata subito d’accordo su questa mia scelta. Anche mia madre ne è stata felice, così i miei tre fratelli e mia sorella: da sempre fra di noi c’è un bel legame».
Così Enzo, dopo gli studi in Scienze religiose, viene ordinato nel 1983 con altri 12 diaconi. «Attualmente siamo 44 in diocesi», riferisce, mentre con lo sguardo spazia sul mare: abita a 100 metri dalla battigia, vicino allo Stretto di Messina e di fronte all’Etna. A pochi passi, la parrocchia Santa Maria di Portosalvo, «dove sono stato battezzato e dove sono cresciuto, anche se il vescovo ha deciso di mandare ognuno a una comunità che non fosse la propria: io sono stato destinato alla cattedrale». Per molti anni si è occupato come responsabile della formazione dei candidati al diaconato e del gruppo delle spose: «Senza il loro consenso non si diventa diaconi, quindi è necessario coinvolgere le mogli e le famiglie in questo cammino, per evitare di trovarsi impreparati». Agli inizi Enzo invitava ogni anno il 26 dicembre tutti i diaconi con le loro famiglie a casa sua: «Abbiamo visto crescere i nostri figli; ora siamo troppi, non c’entriamo in un appartamento solo», scherza. «Il nostro è un servizio legato all’incarnazione», aggiunge Enzo, oggi presidente della Comunità del diaconato in Italia e della diocesi di Reggio Calabria. «Siamo sollecitati sul fronte dell’immigrazione, per esempio. In alcune parrocchie dove il presbitero è africano, il vescovo ha sempre inviato un diacono per aiutarlo con la lingua. Oppure, dove non è presente il sacerdote, guidiamo la liturgia della Parola domenicale e distribuiamo la Comunione». Il calo vocazionale non sfiora i diaconi, che registrano anzi una crescita: «Siamo oltre 4.300 in Italia, presenti in 215 diocesi su 225, con quasi 2 mila candidati in preparazione, soprattutto al Sud e al Centro. Nell’arcidiocesi di Napoli, solo per fare un esempio, si contano 300 diaconi. E al 97% siamo sposati e lavoriamo, con un’età media di 40-50 anni». Qualche rischio di clericalizzazione resta, avverte Petrolino, «quando ci si chiude nelle sacrestie o si è molto propensi a celebrazioni, dalmatiche, processioni, novene. Siamo chiamati invece a un diaconato di frontiera, sulla soglia, in uscita, come si è detto al Convegno ecclesiale di Firenze». Lui continua ad annunciarlo non solo in Italia, ma anche all’estero (da Cuba all’India, dagli Stati Uniti al Guatemala), dove viene chiamato per intervenire a convegni. «Mi chiamano anche molti vescovi per parlare del diaconato ai sacerdoti. Perché spesso le incomprensioni reciproche nascono dalla non conoscenza. Spesso i diaconi sono sottoutilizzati o male utilizzati: non siamo sacristi o chierichettoni cresciuti, parliamo a nome del vescovo e siamo ordinati per la Chiesa locale. Dobbiamo suscitare il servizio nel popolo di Dio, perché la diaconia – di tutti i battezzati – è così importante che si è voluto un segno sacramentale che lo ricordasse».
Di segutio la video-intervista del Diacono Enzo Petrolino rilasciata a Rai 3