Di questi giorni la notizia dal sito (affariitaliani.it) che “L’ombra del Dragone”(governo cinese) si allunga sui porti di Genova e Trieste. Si intensificano le trattative per la nuova “Via della Seta”, l’iniziativa strategica cinese per lo sviluppo di nuovi canali commerciali nel continente eurasiatico che fa gola all’Italia ma indispettisce gli alleati occidentali (USA).
Sempre da quanto riportato da (affariitaliani.it), L’Italia sarebbe il primo Paese del G7 ad aderire ufficialmente alla Belt and Road. Questo potrebbe avvenire durante la visita in Italia del presidente Xi Jinping, prevista tra il 21 e il 23 marzo, oppure al secondo forum sulla Bri che si terrà a Pechino a fine aprile e al quale parteciperà anche il premier Giuseppe Conte, come già aveva fatto il suo predecessore Paolo Gentiloni nel 2017. Secondo Conte, l’accordo sarebbe “un’opportunità per il Paese e per la Ue, l’occasione per introdurre i nostri criteri e standard di sostenibilità finanziaria, economica, ambientale”. Insomma, l’Italia potrebbe svolgere quel ruolo di cooperazione e allo stesso tempo di modellamento del progetto cinese, rendendolo più digeribile sul contesto occidentale. Nel miglior caso possibile l’Italia potrebbe aprire la strada a un ruolo anche manageriale dell’Ue e del mondo occidentale nell’ambito della Bri. Un fattore che potrebbe far comodo anche agli Stati Uniti nel lungo termine, ma la cui realizzazione non appare semplice. Gli ambiti di cooperazione previsti tra Italia e Cina riguardano settori come infrastrutture, energia, telecomunicazioni, aviazione civile, e-commerce. Sarebbero coinvolti, tra gli altri, il gigante elettrico di Pechino, la State Grid Corporation, Terna e Leonardo. Un ruolo importante sarebbe ricoperto dai porti di Genova e Trieste. Tra l’altro Genova, dopo la caduta del ponte Morandi, godrà di un finanziamento di circa 1miliardo di euro. Allo studio anche joint venture tra società cinesi e italiane in paesi terzi come Egitto, Kazakistan e Azerbaijian. Tutti paesi nei quali l’energia riveste un ruolo fondamentale.
Il porto di Gioia Tauro?
Così come riportato da “The MediTelegraph”, il porto di Gioia Tauro è il porto che ha registrato un calo (12,4%) che rappresenta il dato più negativo dei 110 porti al mondo. Proiettando Gioia con i suoi 2, 45 milioni di TEU a una retrocessione dal 51° posto al 69° nella classifica mondiale. Nel mentre i porti concorrenti nel Mediterraneo il Pireo (Grcia) e Tangeri (Marocco) crescono scalando di qualche posizione la classifica. Genova guadagna 4 posizioni (2,6milioni) con una crescita che si attesta al 14,1% così come la Spezia con i suoi 1, 47 milioni di Teu ha migliorato la sua performance con un +15,8%.
Le dichiarazioni del Ministro Toninelli appaiono oggi una beffa, lo stesso mette in gioco la credibilità di MCT ma al momento dietro questa scelta non s’intravedono alternative credibili. Prova ne sia che, in questo progetto della “Via della seta”, il Governo italiano sta sviluppando un accordo, con il governo Cinese, che coinvolgerà i porti di Genova e Trieste non sfiorando neanche lontanamente il Porto di Gioia Tauro.
Forse Salvini, eletto come Senatore in Calabria, dovrebbe aldilà della Baraccopoli, occuparsi di un piano di sviluppo serio, per questo lembo di terra, in grado di portare investimenti e investitori che possano produrre ricchezza, sviluppo, occupazione. Ma anche questa strategia del governo italiano che dà seguito all’impostazione del Governo Gentiloni, non coinvolge il porto che per tanti anni è stato il porto più importante del Mediterraneo . Se la “via della seta” diventerà realtà sarà un altro ulteriore colpo mortale ai sogni di sviluppo della piana di Gioia Tauro, con il totale fallimento del progetto ZES, con buona pace dei sindacati e della politica. In queste settimane ci siamo domandati più volte se i politici calabresi eletti in Parlamento e quelli che siedono nei banchi del consiglio regionale si siano accorti o resi conto di ciò che si muove nel mondo.