Un nuovo testo edito da ‘Il Mulino’ e curato da Riccardo Guidi, Tania Cappadozzi e Ksenija Fonovic fornisce elementi inediti per comprendere il fenomeno del volontariato, oltre la retorica. Realizzato con il contributo di ‘Spes’ Lazio, è l’esito finale di una collaborazione sul valore del lavoro volontario avviata nel 2012 da Istat, CSVnet e Fvp. La redazione “in-cammino.com” ha raggiunto telefonicamente il curatore del libro “Volontari e attività volontarie in Italia. Antecedenti, impatti, esplorazioni”, il professore Riccardo Guidi dell’università di Pisa, per parlare del censimento che per la prima volta raccoglie tutti i volontari in Italia.
Un libro che è stato scritto a sei mani, dal grande valore sociale visto che nessuno si era prodigato nel censire i volontari in Italia. Da cosa è nata l’esigenza di scrivere un documento con questi contenuti così originali?
“Il bisogno è molteplice. Da una parte l’Accademia lavora spesso e ha lavorato molto sul tema del volontariato, ma l’ha fatto più frequentemente con piccoli studi di caso, mentre si sentiva la necessità di uno studio ad ampio spettro su un grande campione; dall’altra parte gli istituti di statistica che abbiamo, che un’eccellenza internazionale ISTAT non aveva mai testato, il protocollo dell’Organizzazione Internazionale per il lavoro sul volontariato, e quindi questa è stata l’occasione per farlo. Ancora, le grandi organizzazioni di volontariato, le federazioni o comunque tutti i cosiddetti addetti ai lavori del settore non avevano ancora dei dati freschi su alcuni fenomeni emergenti del volontariato, come ad esempio il volontariato individuale. E questi sono alcuni tratti da cui nasce l’idea, l’intuizione di realizzare questo volume”.
Un altro dato che emerge è che facendo del volontariato si ha anche un miglioramento del proprio stile di vita. Si può dire che il volontariato è una scelta di vita che migliora la propria esistenza?
“In qualche modo si, dobbiamo essere sempre molto cauti, perché il volume è fondato su analisi rigorose, basato su metodi statistici, e queste analisi ci possono dire molto ma non tutto. C’è spazio, anzi c’è bisogno, di futuri approfondimenti, ne abbiamo bisogno come il pane, su un tema così multiforme come il volontariato; però al momento, da quello che siamo riusciti a fare con questi dati, possiamo dire che abbiamo delle evidenze piuttosto chiare che vi sia un’associazione positiva, una correlazione positiva, tra prestare attività di volontariato, sia organizzata che individuale, e stare meglio con se stessi, avere più fiducia negli altri ed essere più orientati alla partecipazione politica. Questi sono tre elementi, il benessere, la fiducia e la partecipazione, che sono elementi importanti, sia per la qualità della vita individuale, ma anche per la qualità della democrazia, e questo è un fattore che ci deve far molto riflettere, perché non basta avere una buona istituzione per avere una buona democrazia. Ci vuole un’infrastruttura sociale, ed il volontariato può essere parte di questa infrastruttura sociale per avere una buona democrazia in Italia”.
Con i tempi i oggi i giovani sono presi da miliardi di cose, tra lo sport, la scuola e quant’altro, il tempo libero diventa sempre meno. Come si può far avvicinare i giovani al volontariato?
“E’ una bella domanda e una bella sfida! I giovani, dai dati che abbiamo analizzato, non sono la fascia più attiva, anzi condividono con gli anziani la circostanza di essere uno dei segmenti di popolazione italiana meno attivi nel volontariato. Ma se i giovani in generale hanno questa caratteristica, non altrettanto invece sono gli studenti. Gli studenti, sia universitari che dentro percorsi di istruzione secondaria, sono tra i più attivi. Quindi una prima luce che si accende è su tutto il tema di come favorire il volontariato passando dalle scuole e dalle università. Questa è una buona traccia da seguire. Una seconda traccia da seguire riguarda il volontariato o individuale o a legami deboli; cioè, dalle nostre analisi emerge che i giovani hanno, verso il volontariato organizzato, delle motivazioni lievemente diverse da quelle che hanno gli altri soggetti. Sono motivazioni che noi abbiamo denominato “individualistiche”, ma con questo aggettivo non si vuol dare un’impronta negativa al termine. Si vuol dire che, visto che i giovani si confrontano in Italia con una situazione complicata, la transizione verso il lavoro è complicata, la transizione verso l’uscita dalla propria famiglia di origine è complicata, fare volontariato è anche un modo per crescere, investire in se stessi, e perché no, avere dei contatti per un’occupazione, presenti o futuri rafforzamenti delle proprie abilità, che poi potranno servire per il lavoro. Qui c’è una piccola finestra di opportunità, cioè far investire sulla valorizzazione del capitale umano, anche a partire da una proposta di volontariato, può essere un ottimo modo per aumentare le chance di coinvolgimento dei giovani. E poi, da ultimo, il volontariato individuale o a bassa organizzazione: noi finora abbiamo un po’ l’idea di coinvolgere le persone a fare volontariato facendo agio soprattutto sulla grande organizzazione che propone attività. Non è forse più solo così. A volte l’auto-organizzazione o l’organizzazione assolutamente informale è soprattutto per i giovani un attrattore maggiore, che non la grande organizzazione a volte un po’ appesantita.
Cosa può fare o deve fare la politica per il mondo del volontariato?
“La politica può fare molto ma, in primo luogo direi, fa bene eventualmente anche a non far nulla, nel senso che il volontariato è un fenomeno sociale così basato sulla spontaneità, che interventi politici forti, anche fatti con le migliori intenzioni, potrebbero affossare questo fenomeno basato sulla spontaneità; ma attenzione, perché i nostri dati ci danno delle evidenze su alcuni interventi che potrebbero far bene alla crescita del numero dei volontari in Italia. Non si tratta di interventi specifici a favore del volontariato, ma si potrebbe trattare di politiche che possono indirettamente facilitare l’attivazione volontaria. Una cosa in particolare, abbiamo un’evidenza piuttosto chiara: più crescono le risorse socioculturali, più aumenta il tasso di volontariato. In termini pratici e politici significa che investire in cultura, con politiche a sostegno dell’educazione, dell’istruzione, a sostegno della culturale più in generale, è il miglior driver per facilitare la situazione volontaria della popolazione; quindi investimenti in cultura, istruzione e università. Questa può essere un’ottima chiave di lettura non solo per migliorare tante cose nel nostro Paese, ma anche per facilitare il volontariato in Italia”.