VIAGGIO DI NUOVA SOLIDARIETA’ LUNGO LA VIA DELLA SETA A SAN FLORO

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San Floro, la rinascita della seta: un’eccellenza calabrese tra memoria e futuro.
Articolo di Felice Francesco Delfino.
Nel cuore pulsante della terra bella e fertile di Calabria, il borgo di San Floro è diventato simbolo di un affascinante ritorno alle origini, l’ombelico della seta del Mediterraneo: qui, all’interno del suggestivo Castello Caracciolo del XV secolo, sorge il Museo della Seta, che racconta la millenaria arte serica, un tempo fiorente tra Catanzaro, Caraffa e Cortale. La seta calabrese, rinomata tra il Trecento e il Settecento, vestiva papi e imperatori, ma con l’industrializzazione rischiava di scomparire.
Oggi, grazie al progetto Nido di Seta e al lavoro appassionato di giovani imprenditori locali, la filiera del baco che nasce a partire dal Museo della seta, dentro il castello Caracciolo in loco, nei locali di una antica produzione di vino cui sono ancora conservati il torchio, le vasche, rivive a pochi passi nella sua piccola, grande, industria in modo sostenibile cui si rifornisce della seta grezza nientepopodimeno che un colosso della moda, quale Gucci (San Floro e’ oggi la prima località italiana della produzione della seta, la seconda in Europa e una delle prime al mondo): dalla coltivazione dei gelsi all’allevamento dei Bombyx mori, dalla raccolta dei bozzoli alla tessitura artigianale con telai tradizionali. Il museo non è solo uno spazio espositivo, ma un laboratorio didattico e sensoriale che coinvolge scuole, turisti e comunità.
Proprio in questo contesto si è svolta una recente gita dell’Associazione Nuova Solidarietà, che ha scelto San Floro per un’esperienza culturale immersiva. I partecipanti hanno potuto vedere sete damascate, un abito nero condiviso da cerimonia in terra di Tropea e Robia (una pianta che allontana le lumache), la famosa seta di mare, (il bisso) la cui produzione, oggi, incentivata da una sarda, la Vigo, conoscere da vicino il ciclo della seta, toccare con mano le antiche tecniche dalla bachicoltura (i bachi calabresi della specie “bombix mori”, sono una evoluzione dei bachi cinesi dei “bombix mandarina”, ma anche dei bachi giapponesi (secondo una leggenda furono introdotti in Calabria dalla Cina da monaci basiliani in bastoni cavi e crescono trasformandosi in crisalide poi in falene che depongono uova piccole come le punte di una matita dopo aver fatto Quattro mutazioni nelle loro cinque età e mangiato foglie di gelso per 24 h e 28 giorni con sole 4 pause per le mute) e riscoprire il valore della tradizione calabrese trasformata in futuro possibile.
Una giornata all’insegna della memoria, dell’identità e della bellezza intrecciata – letteralmente – con i fili della storia.

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